Tempo di lettura: 15 minuti.
Mi ero svegliato senza mal di testa.
E nausea.
E vertigini.
Per questo me ne sono accorto.
Sentivo una roba dentro.
Una roba bella.
Hai presente?
Quella roba che senti quando sei innamorato. Credo.
Non so.
Comunque.
Non è che avevo capito bene.
Solo che c’era qualcosa di strano.
Mi sono alzato.
Sono andato in bagno.
Mi sono specchiato.
..
Cazzo quanto ero figo! Brillavo.
E si vedeva che anche lui pensava che ero figo. Quello dello specchio, dico.
Sono andato in corridoio.
In corridoio ho un paio di quadri.
Oggi avevano dei colori assurdi. Dei colori super accesi. Caldi, luminosi.
E i gattini sopra saltavano sui tetti dei palazzi. Entravano nelle case.
Facevano le fusa.
– Come mai oggi, Andrea?
Alzo lo sguardo, che si era perso indietro.
Mi sta osservando. Con comprensione, sembra.
Ma lo so. Finge.
– Cosa?
– Hai detto oggi.
Rilegge il taccuino.
– “Oggi avevano dei colori assurdi”. Come mai oggi? Come mai non quel giorno?
Abbasso lo sguardo.
..
..
Quel giorno. Oggi.
Non rispondo.
Volevo uscire.
Cioè.
Mi sentivo pieno di energie.
E poi volevo vedere fuori.
I colori. Gli odori.
Dovevo uscire!
Ho percorso il corridoio.
Aperto la porta.
Fatto le scale.
Portone.
Fuori.
..
..
A s s u r d o !
Più assurdo di dentro.
La pioggia. Le foglie. L’arietta.
Assurdo!
Ho iniziato a camminare.
E a guardare in giro meravigliato.
C’era una luce…
Davanti casa ho una chiesa.
Con delle statue di robe. Tipo angeli. Demoni. Cose così.
Con la testa mi seguivano. E sorridevano.
Li ho salutati.
Poi mi sono accorto.
C’era tutto. Intorno a me.
Tutto.
Case. Negozi. Chiesa. Alberi. Pioggia. Pozzanghera. Statue. Fontanella. Tombini. Sassolini. Foglie. Legnetti. Asfalto. Terra. Bottiglietta. Siga. Nuvole. Luna. Auto. Motorini. Furgoni. Bidoni. Castagne. Cancelli. Strisce pedonali. Cartelli. Uccellini. Vermi. Formiche. Mosche. Buio.
..
Ho ripassato veloce nella testa.
Casenegozichiesaalberipioggiapozzangherastatuefontanellatombinisassolinifoglielegnettiasfaltoterrabottigliettasiganuvolelunaautomotorinifurgonibidonicastagnecancellistriscepedonalicartelliuccellinivermiformichemoschebuio.
Tutto.
C’era tutto.
..
Ma nessuno.
Mi fermo.
Per trattenere quella sensazione.
Lei appunta qualcosa.
Poi mi guarda. Con quel suo sorriso accondiscendente.
– Come ti fa sentire ripensare a quel momento?
Ci penso un attimo.
– Più solo di allora.
Annuisce.
Quando è sbucato ero in mezzo al corso.
Pedalava lento verso di me. Su una bici mezza scassata.
Anche i vestiti erano mezzi scassati.
E il sorriso.
Ma solo mezzi.
Mi è arrivato accanto.
Pian pianino.
Pian pianino.
Poi si è fermato. È sceso.
E mi ha detto – ciao.
Conoscevo Biciclista da un po’.
Non so bene da quanto.
Né dove l’avevo conosciuto. O come.
Non so nemmeno se lo conoscevo. A dire il vero.
Ma ora era lì.
E mi fissava divertito.
L’ho guardato e gli ho detto – ciao.
E poi – dove sono tutti?
Ha cercato una siga nei jeans mezzi scassati.
– Chiusi. Nella propria casa. Nella propria stanza. Nella propria mente.
Ha fatto una breve pausa per accendere.
– Rintanati. Per nascondersi.
Per un attimo penso di prendere anche io il tabacco.
Ma oggi non ne ho voglia.
Curioso.
– Per nascondersi da chi? Da cosa?
Si porta un dito alle labbra.
Si guarda intorno disorientato.
Poi sussurra – per lo più dalle Musichette.
Lo guardo strano.
– Le Musichette?
Continua a sussurrare.
– Già. Le Musichette. Di sottofondo.
Sposta il dito dalle labbra alla tempia.
– Ti entrano in testa. E poi non ti mollano più.
Mi fa un cenno di intesa.
Poi inizia a rimontare sulla bici.
Sono confuso. Un po’.
– Sto sognando, vero?
Non mi sta più ascoltando.
Ha già iniziato a pedalare.
Pian pianino.
Pian pianino.
Quando è a pochi metri si volta, continuando ad andare.
– Vieni?
Lo guardo allontanarsi nella strada deserta.
– Dove?
Pian pianino.
Pian pianino.
– A nasconderti.
BO BOOMMMMMMMMM!!!
Un tuono mi distrae.
Guardo fuori dalla finestra.
Pioggerella contro il vetro scuro.
O è scuro fuori?
Forse la
– Andrea…
Mi volto. La guardo.
Sembra più presente di prima.
Di me.
Prosegue.
– … Biciclista… cosa intendi che non sai se lo conoscevi?
Non rispondo.
Ci riprova.
– Hai avuto l’impressione che fosse un incontro casuale? O lo stavi aspettando?
La guardo male.
Abbiamo messo delle regole.
Ho messo delle regole.
Ma pare fottersene ogni volta.
Aspetta una risposta. Per troppo tempo.
Seria. Ma decisa.
Decisa a fastidiarmi.
Poi con garbo mi fa – non ti sto chiedendo di parlarmi di lui. Ti sto chiedendo di parlarmi di te, in relazione a lui.
Posa il taccuino sulla scrivania.
– Se lo conoscevi già… che tipo di legame c’era tra voi… queste cose mi aiutano a capire te. Non lui.
Fa un sorriso. Quasi vero. Forse vero davvero.
– E questo fa parte delle regole.
Ha un sorriso troppo dolce per continuare a guardarla male.
Torno ad osservare la pioggerella contro il vetro chiaro. Con sfondo scuro.
Alla fine mi sa che è così.
Stiamo alcuni istanti in silenzio.
A sentire
tic tic tic tic tic tic tic tic
BO BOOMMMMMMMMM
tic tic tic tic tic tic tic tic
Poi sento la sua voce. Timida.
No.
Titubante.
– Quando Biciclista ti ha chiesto di seguirlo… per andare a nasconderti… cos’hai pensato? Come ti sei sentito?
tic tic tic tic tic tic tic tic
tic tic tic tic tic tic tic tic
tic tic tic tic tic tic tic tic
– Libero.
tic tic tic tic tic tic tic tic
BO BOOMMMMMMMMM
Dopo qualche isolato si è fermato.
Ha legato la bici mezza scassata a un palo.
Ed è sceso nella metro.
L’ho seguito.
Ci stava aspettando.
La metro.
Anche se le cose non aspettano.
Quindi forse non ci stava aspettando. Forse era sempre stata lì.
Solo non la vedevo.
È entrato in un vagone.
Deciso.
Sembrava sapesse.
L’ho seguito.
Si è seduto in un posto preciso.
Preciso.
Si vedeva che l’aveva scelto.
Mi sono seduto in un posto a caso.
La metro è partita.
..
..
Una fermata. Due. Tre.
Scende.
L’ho seguito.
Fuori.
..
..
C’ero stato mille volte.
Ma non era mai stato così.
Di solito c’era troppa luce. O troppo poca.
Ma oggi era perfetto.
..
Mi correggo.
– Non oggi…
Fa un cenno impercettibile. Con tatto. Come per spronarmi ad andare avanti tranquillo.
Oggi la luce era calda.
Calda negli occhi. Non sulla pelle.
Tipo sul rosso e l’arancione. E colori così.
Ti faceva stare bene.
È andato dritto verso un bell’angolino della piazza.
Non so cosa ci fosse di bello.
Non saprei dire.
Ma era molto accogliente.
L’ho seguito.
Quando siamo arrivati mi sono accorto.
C’era un piccolo chiosco.
Tipo quei Bistrot di Parigi. Quelli belli. Culturali.
Che poi non so.
Io non ci sono mai stato a Parigi.
Ma me li immagino come quel chiosco.
Comunque.
Seduti ai tavolini c’erano tante persone.
Ridevano. Ridevano. Ridevano.
Non ricordo volti. Né parole.
Solo Denti.
Si è seduto a un tavolo.
Io a un altro.
Denti.
Denti.
Denti.
Stavo bene. Davvero bene.
..
..
Non ho mai più rivisto Biciclista.
Guardo fuori.
È tornato il sole.
E il vetro è ufficialmente chiaro.
– Andrea, cosa ti faceva stare bene tra quelle persone?
Ci penso un attimo.
..
Ho freddo.
..
Tiro su il cappuccio.
– Non lo so.
Non si rassegna.
– Prova a pensarci. A pensare a quel momento. Con calma, non c’è fretta.
– No.
Mi guarda perplessa.
– No cosa?
– No e basta.
Appunta qualcosa sul taccuino.
Poi silenzio.
Silenzio.
Poi non più.
– Andrea… l’altra volta mi dicevi che avevi in programma una grigliata con vecchi amici, ed eri un po’ preoccupato. Com’è andata?
La guardo scocciato.
– Te l’ho detto io?
Annuisce.
– Non sono andato.
Sembra delusa.
– Posso chiederti perché?
– No. No e basta.
Biciclista non serviva più.
Ora conoscevo la strada.
..
E cazzo quanto mi piaceva!
..
Mi vengono i brividi ancora oggi.
Comunque.
Non è che stavo sempre al Bistrot.
Solo ogni tanto.
A volte volavo nel cielo con dei robi tipo jetpack.
Con fumi colorati che uscivano.
Tanti volavano così. Il cielo diventava verde, rosso o blu.
Ma blu vero.
Non il blu del cielo.
Altre volte me ne stavo ore a guardare gli alberi.
Le foglie. Le goccioline sulle foglie.
E simpatici animaletti dentro le goccioline.
Galleggiavano presi bene.
Se avessi voluto avrei potuto vedere di più.
Ma non mi interessava ancora.
All’epoca mi bastavano i Denti.
Denti.
Denti.
E nessuna Musichetta del cazzo.
Per questo ho deciso di portarlo.
CUCU’ CUCU’ CUCU’
Guardo il cucù dall’altra parte della stanza.
Un uccellino esce senza troppa convinzione e dice cucù.
Patetico.
Guardo fuori. È buio.
C’è la luna.
– Sei stanco Andrea, vuoi fare una pausa?
Faccio no con la testa.
Insiste con la gentilezza. – Qualcosa da bere? Acqua? Caffè?
Le chiedo un Gin Tonic.
Ride.
Forse non dovrebbe.
Ma ride.
Poi si ricompone.
– A proposito… come va con le regole di cui mi parlavi l’altra volta?
Sfoglia veloce il taccuino: – le RUV, giusto?
Annuisco.
Prosegue.
– Continui a bere solo il weekend?
Sospiro.
– Il weekend e i giorni speciali.
Segna qualcosa.
– Cosa intendi per speciali?
Abbasso lo sguardo.
..
..
Questa volta interrompo io il silenzio.
– Mia madre aveva un cucù come quello. O forse ce l’ha ancora. Non so.
Lo guardiamo tutti e due.
Come se dovesse dirci qualcosa.
Ma non si vede.
E comunque dice solo cucù.
Ora parla lei.
– Ultimamente sei andato a cena da tua madre, vero?
Annuisco.
– E com’è andata?
Torno a guardare fuori. La luna.
BLABLABLABLABLABLABLA Lavoro? Bene.
BLABLABLABLABLABLABLA Tipe? Bene.
BLABLABLABLABLABLABLA Amici? Bene.
BLABLABLABLABLABLABLA Scrittura? Bene.
BLABLABLABLABLABLABLA Resto? Bene.
BLABLABLABLABLABLABLA Domanda? Bene.
BLABLABLABLABLABLABLA Domanda? Bene.
BLABLABLABLABLABLABLA Domanda? Bene.
BLABLABLABLABLABLABLA Domanda? Bene.
BLABLABLABLABLABLABLA Domanda? Bene.
– Andrea? Tutto ok?
La guardo. Prima non era così carina.
– Tutto bene. La cena bene.
Me lo aveva chiesto un sacco di volte.
Ma quella volta ho detto ok.
Potevo dire no.
Ma no.
Ho detto ok.
Gli ho fatto vedere come arrivarci.
Sai.
La storia della metro.
E tutto.
E poi come nascondersi.
Dalle Musichette, dico.
Da quel momento al Bistrot ci furono nuovi Denti.
E nuovi occhiali da sole zarri.
Silenzio.
Guardo fuori.
No.
Guardo dentro.
Silenzio.
Io e Occhiali-Zarri passavamo sempre più tempo lì.
Sempre di più.
Più.
Avevamo anche preso una bella casetta.
A forma di goccia. Doppia.
Hai presente?
E un animaletto.
Non so quale.
Non ho mai capito bene.
Però era tenero. Ci faceva le feste.
E aveva un buon odore.
..
..
Non ci interessavano più le cose fuori.
C’era troppo sottofondo fuori.
Ma lì dentro.
Poi è arrivata.
Entra una strana luce dalla finestra.
L’alba.
Questa volta è lei che guarda fuori.
Io no.
Io questa volta guardo lei.
Si volta verso di me.
Fa la faccia vergognosa. Si è mostrata vulnerabile.
Tranquilla.
Si ripiglia.
– Quelle cose fuori, Andrea, ti mancavano ogni tanto?
– Mai.
Si ferma un attimo.
Forse sta pensando alla prossima domanda.
O forse solo all’alba.
– E ora?
Provo a pensarci. Seriamente.
Ma è faticoso.
– Ci sto provando.
Appunta qualcosa.
Prosegue.
Questa volta sembra determinata ad arrivare da qualche parte.
Non so dove.
E credo nemmeno lei.
Ma vuole arrivarci.
– Come va a lavoro?
– Bene.
– Ti piace?
– No.
– Cos’è che non ti piace del tuo lavoro?
La guardo con sufficienza.
– Davvero?
Sorride.
– Ok. Niente lavoro.
Si tira su i capelli dalla fronte. Con tenerezza.
– Come procede con la scrittura?
– Bene.
– Ti va di dirmi perché ti piace scrivere?
– Io odio scrivere.
Fa la faccia confusa.
– In che senso? Allora perché scrivi?
– Penso meglio in Times New Roman.
Annuisce.
Ha capito.
– E a cosa pensi quando scrivi?
Chiudo gli occhi.
– A quel silenzio. Quando scrivo ripenso a quel silenzio.
Silenzio
..
..
Riapro gli occhi.
È ancora lì. Come tutto.
Insiste nel suo…
Non so.
Ma lo fa con grande dolcezza.
– E invece la palestra?
– Che palestra?
Cerca tra le pagine qualcosa.
– L’altra volta non mi dicevi che volevi iscriverti in palestra?
– No. Impossibile. Odio le palestre.
Si ferma ad una pagina. Legge.
– Ah, no. Scusa. Ricordavo male io. Mi parlavi di comprare dell’attrezzatura da palestra. Da mettere a casa. Nello specifico una sbarra da trazioni, giusto?
– Ah, quello. La sbarra da trazioni…
Sono un attimo disorientato.
Non mi ricordavo di avergliene parlato.
– … sì. La sbarra da trazioni sì.
– E l’hai comprata?
La guardo fisso negli occhi.
..
..
..
..
..
– No. Non ancora. Non sono ancora pronto.
Ele è stata un mezzo macello.
Cioè.
A me piacevano i Denti.
E il Bistrot.
E Occhiali-Zarri.
E tutto il resto.
Ma cazzo.
Quegli occhi.
Così ho iniziato a rimanere sempre più fuori.
Era difficile.
Le Musichette...
Ma Ele riusciva a dipingere il silenzio.
Così ok.
Occhiali-Zarri invece no.
Non ce la faceva a stare fuori.
Ormai si era abituato a quella luce calda.
Così passava quasi tutto il suo tempo lì dentro.
E ci vedevamo poco.
Finché una sera ha deciso di rimanere lì.
E non ci siamo visti più.
Qualche volta sono andato a cercarlo.
Al Bistrot.
Ma niente.
Non c’era.
O forse solo non lo trovavo in mezzo a tutti quei Denti.
Mi fermo.
Fuori è di nuovo il tramonto.
..
..
– Andrea, posso chiederti a cosa stai pensando?
– A niente…
..
..
Non me ne accorgo. Ma emetto un sussurro.
– A quella sera.
AAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH
1 2
3…
SOFFIA!
NO NO NO NO NOOO
1… 2
SOFFIAAAAAHHHHH
NOO CAZZO NOOOOOOOO
3… 30…
SOF
NOOOOOOOOOOOOOOO
1
2
3
30
SOFFIA!
SOFFIA!
SOF
NO
NOOOO
SOFFIA CAZZOOOOOOO!!!
1 2 3
30
NOOOOO
NOOO
NOOOOOOOOOOOOOO
– Andrea…
Apro gli occhi.
Ha in mano il taccu
No.
Non è un taccuino.
È un tubetto.
Di bolle.
Soffia.
Soffia.
Soffia.
Soffia.
Soffia.
Poi non soffia più.
– Andre, perché passi così tanto tempo qua dentro?
CUCU’ CUCU’ CUCU’
Uccellino.
In mezzo alle bolle è un po’ meno patetico.
– Là fuori non…
..
..
..
Sorride comprensiva.
– Nemmeno qui.
Posa il tubetto sulla scrivania.
Si sporge sulla poltrona.
Mi accarezza delicatamente la guancia.
Ha gli occhi lucidi.
Vedo il mio riflesso intrappolato nel suo sguardo.
Era tanto che.
– Andre... cosa ricordi di quella sera?
Guardo un’ultima volta fuori.
O dentro.
– Quella sera le previsioni davano neve.