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La copertina è blu scuro.
Con una nave bianca intagliata nella carta.
Nessuna scritta.
Molto minimal.
Mi piace.
Lo apro.
Sbuca una nave in 3d con le vele colorate.
Verde. Giallo. Arancione. Rosso.
Occupa il centro del biglietto.
In alto a sinistra una data:
4 gennaio 2018.
Poi un tot di parole scritte a mano.
Con la penna nera.
“Caro Andri,
vento in poppa!
Veleggia verso la distesa azzurra e dorata dei tuoi desideri!
Buon compleanno,
Mamma”
Rimango qualche secondo in silenzio.
Per cercare di capire perché la distesa è azzurra e dorata.
..
..
Niente.
..
..
Me l’ha spedito mia madre.
A casa.
Non le ho detto che non ci posso tornare.
Ogni tanto ci sentiamo.
Quando mi fanno usare il telefono.
E quando ho la testa per sentirla.
Ma quasi mai.
Comunque, non ricordo nulla di azzurro e dorato.
L’ultima volta l’ho sentita una decina di giorni fa.
Per Natale.
Mi ha chiesto come stavo. Come stava Ele.
Cosa avrei fatto per le feste e quando sarei andato a trovarla.
Ho inventato un po’ di robe a caso.
Con fatica.
Per farla felice.
Roba in cui tutti stiamo bene.
Con un sacco di amici e amore. E sorrisi.
E fottuti animaletti Disney che escono canticchiando.
Poi auguri e ciao.
Di nuovo alla realtà.
Mi prende dolcemente la mano.
Alzo lo sguardo. Piano piano. Fino a incrociare il suo.
Il trucco le cola sulle guance.
Sono molto bagnate. E nere.
Anche il naso le cola.
Ma non di trucco.
La fronte è corrucciata.
Si vede dalle ondine che si formano.
Quando è felice non ci sono.
La bocca è nervosa.
Si inumidisce il labbro. Lo mordicchia.
E si muove. Lentamente.
Inesorabilmente.
Credo emetta anche dei suoni.
Forse addirittura delle parole.
Ma è tutto ovattato oggi.
E poi cazzo…
Perché azzurra e dorata?
Quando ero piccolo facevamo un gioco.
Io, mia madre e mio fratello.
Un gioco che ci piaceva molto.
Si chiamava “Andare a perdersi”.
Il gioco era semplice.
Mia madre ci caricava in macchina.
Poi guidava fino in collina, poco fuori città.
Da lì in avanti eravamo io e mio fratello a scegliere le strade da fare.
E sceglievamo sempre le più piccole.
Disastrate.
Quelle che portavano in mezzo al nulla.
Da regolamento mia madre non poteva opporsi.
Anche quando era evidente che la nostra Panda scassata non ce l’avrebbe fatta.
Devo dargliene atto. Non si è mai opposta.
Mia madre.
E nemmeno la Panda.
Mi accarezza la guancia.
Torno a concentrarmi su Ele.
Continua a disperarsi.
Ad asciugarsi il volto.
A tirare su i capelli che le cadono sul viso.
E a parlare.
Spiegare.
Non ce la faccio ad ascoltare.
Ma non serve.
So già perché è qui.
Non so cosa ci piacesse del gioco “Andare a perdersi”.
Non succedeva nulla di incredibile.
Giravamo a caso in mezzo alle colline.
Per un tot.
Fino a quando io e mio fratello decidevamo che ci eravamo persi abbastanza.
Allora ci fermavamo e proseguivamo a piedi.
A volte in dei paesini.
A volte in dei boschetti.
Fine.
Non so cosa ci trovassimo.
Forse era la scoperta.
Forse il mistero.
Forse solo l’avere il controllo, per una volta.
Non so.
Non ci perdevamo nemmeno per davvero.
Ma ci piaceva molto.
A tutti e tre.
Ele si sporge oltre il tavolo che ci divide e mi dà un bacino dolce sulle labbra.
Un bacino umido.
Subito viene ripresa.
Il contatto fisico è vietato.
Rimane in piedi.
Ci guardiamo negli occhi.
Intensamente.
Per tanto tempo.
Anzi.
Per poco.
Ma sembra per sempre.
Dice ancora qualcosa.
Che non capisco.
Spero qualcosa di bello.
Si volta.
Inizia a camminare verso l’uscita.
Lentamente.
Il rumore dei tacchi lo sento.
Quello sì.
Mi entra in testa.
TAC
TAC
TAC
Apre la porta.
Si volta un’ultima volta.
..
..
..
Forse è il mare. Con il sole che si riflette.
L’azzurro e il dorato.
Ma non sono sicuro.
– Devi tornare in stanza, Andre. Mi spiace. Davvero. Ma è finita l’ora.
Mi alzo.
Inizio a camminare.
..
Mia madre è sempre stata brava con i biglietti.
E con i giochi inventati.
..
..
“Andare a perdersi”…
..
..
Alla fine mamma ce l’ho fatta.
Ma non mi diverte più.