Tempo di lettura: 35 minuti.
BIP BIP
Apro gli occhi.
Dove sono?
Chi sono?
Che succede?
Per una frazione di secondo la coscienza non fa parte di me.
Vaga raminga in un non-luogo.
Sono a disagio.
Devo riappropriarmene!
Devo?
BIP BIP
Sono nel letto.
Sono Andrea.
Devo andare a lavoro.
La coscienza è tornata nel suo consueto, noioso luogo.
Il disagio lascia il posto allo sconforto.
BIP BIP
Allungo una mano e pospongo la sveglia di dieci minuti.
Non sono ancora pronto ad affrontare il mondo.
Ad affrontare gli altri.
Ad affrontare me.
BIP BIP
Spengo la sveglia.
È lunedì.
Coraggio.
Ce la puoi fare.
Alzati.
Chi è che tenta di convincermi di tali idiozie?
Ah, già, sono sempre io.
Fanculo!
Mi alzo.
Doccia.
Colazione.
Denti.
Vestiti.
Borsa.
Ogni gesto è fatica.
Ogni pensiero angoscia.
Non è più una routine.
È una riprogrammazione del codice genetico. O della scheda madre. Non so.
Fa male.
Andiamo Caronte, sono pronto.
Esco.
Siga.
Domani devo smettere. Ma non oggi.
Nessuno smette di lunedì.
La borsa è pesante.
Saranno almeno 150 kg.
Mi dovrebbero dare una fottuta medaglia del cazzo.
Mi trascino fino alla metro. 4 fermate e scendo.
Mi trascino fino al treno. 10 minuti e salgo.
Ultimo vagone, piano superiore.
Come sempre.
Intorno fantasmi. Ombre.
Come me.
Prendo posto.
Ci aspetta la traversata di Acheronte.
La moneta è già pagata: ho la tessera Bip.
– Oggi sono distrutta!
A parlarmi è Cuffie-Blu, un’ombra meno sfocata delle altre. La incontro tutte le mattine da un anno.
– Già – rispondo io, nascosto dietro al mio solito cappuccio anti-realtà.
Mi racconta di come la stanchi fare su e giù tutti i giorni.
Del lavoro. Del capo stronzo. Di cosa ha fatto nel weekend.
Di cose inutili.
A nessuno dei due fregano realmente qualcosa.
Non emetto alcun suono, alcun respiro.
Ogni tanto devo ricordarmi di sbattere le palpebre per inumidire gli occhi secchi, che si appannano.
O è il vetro?
No, sono gli occhi. Non c’è un vetro tra me e lei.
Solo una lente che filtra i discorsi.
Vorrei chiederle delle sue paure e angosce.
Dei suoi sogni. Delle sue aspettative.
Della sua Lei più intima e segreta.
Non mi interessa cosa fa. Mi interessa chi è.
Ma ciò non è previsto dal nostro Livello Di Familiarità (LDF), che si attesta su un modesto 3.
Tale livello, come gli altri d’altronde, prevede una serie di regole e precetti assai rigidi, scolpiti a fuoco nella scheda madre di noi anime meccanizzate.
LDF = 3.
È concesso parlare della propria vita privata, ma superficialmente, senza mai entrare troppo nello specifico.
Si possono raccontare solo fatti poco significativi, mai quelli che davvero hanno un’influenza sul nostro modo di essere e di intendere la realtà.
Mai parlare di emozioni. Mai parlare di pensieri.
Se proprio ne sentiamo il bisogno, in modo talmente rarefatto da apparire intangibile, immaginario. In ultimo: inesistente.
Nessuna introspezione. Nessuna analisi complessa.
Nessuna reale condivisione di noi stessi.
Nessuna reale conoscenza dell’altro.
Evidentemente tutto ciò fa parte di un qualche contratto sociale del cazzo che abbiamo stipulato alla nascita con gli altri esseri sopravviventi.
Con la collettività a fare da notaio.
E presto anche da giuria. Testimone. Avvocato. Giudice. Carnefice.
Per qualche tempo ho provato a comportarmi secondo le sacre leggi del LDF.
Ma ho smesso da un po’.
Lo trovo spossante.
Ignoro il brusio ormai incomprensibile di Cuffie-Blu e prendo il Kindle.
Non voglio mancarle di rispetto.
Solo impazzirei ad ascoltare questo vuoto ancora per un attimo.
Lei pare capirmi. Accettarmi.
Nonostante mi comporti sempre così, si comporta sempre così.
Forse quelle cuffie che porta sempre addosso hanno la stessa funzione del mio cappuccio anti-realtà.
Non è male Cuffie-Blu.
Peccato non conoscerla.
Leggo “Noi”.
Una voce meccanica annuncia l’arrivo in Città.
Un’altra città.
Diversa.
Uguale.
Saluto Cuffie-Blu.
A domani.
Scendo dal treno.
Nonostante faccia questo tragitto da due anni, mi trovo sempre spaesato una volta giunto.
Sarà per la fiumana di gente.
Vedo tutti brulicare celermente verso certezze.
Pare sappiano dove andare. Cosa fare. Perché.
Solo io mi muovo a fatica, schiacciato dal peso della borsa da ormai 280 kg, tra dubbi, esitazioni e diffidenza?
Forse sono solo più bravi a fingere.
Glielo auguro.
Metro.
Pezzo a piedi.
Siga.
Entro a lavoro.
Scrivania.
Accendo il pc.
Per ore faccio non so cosa.
Cose produttive immagino.
Per chi? Perché?
Temo nessuno lo sappia.
Forse un tempo.
Ma ora certamente no.
Guardo l’orologio posto sul muro di fronte a me.
Deve essere rotto.
Le lancette sono immobili, non procedono.
Penso che gli orologi siano tondi perché rappresentano la ruota del criceto su cui corriamo. Sempre.
Senza avanzare.
Tra fatica, sudore e vertigini.
Ma niente.
Rimaniamo lì.
Fermi. Stremati.
Fottuti orologi del cazzo!
Poi, succede.
La lancetta.
Si è mossa.
L’ho vista! Non sono pazzo!
Un secondo. Uno solo.
Non è possibile! Sono qua da ore, mesi, forse anni, in contemplazione della staticità, sua e mia.
Ogni tanto il collega della scrivania accanto mi dice qualcosa, per lo più battute infantili su ragazze.
Oppure si lamenta del lavoro.
Del capo.
Mi racconta delle partite di calcio e del weekend.
Insomma: LDF = 3, come Cuffie-Blu.
Non è cattivo. Solo inutile ai miei occhi.
Comunque, non più di me.
Pausa caffè.
Siga.
Persone parlano di cose. Ridacchiano felici.
Non riesco a partecipare al teatro del vuoto.
Non ho studiato la parte.
Guardo fuori dalla finestra.
Mille auto di persone che vanno da qualche parte a fare qualcosa.
Persone che corrono.
Si agitano.
Hanno fretta di arrivare in nessun posto a fare nulla.
Mi sfugge il senso.
Ma continuiamo a correre, compagni criceti!!!
Torno al pc.
Faccio roba produttiva, per nascondermi.
Pausa pranzo.
Siga.
Vado in un bar lontano, per non incontrare colleghi del lavoro e dover essere obbligato a fare quattro chiacchiere.
Mi piace il mio bar.
Piace solo a me. È sempre vuoto.
Forse perché fa schifo.
O forse perché il tipo che lo gestisce è uno stronzo.
Comunque sia non parla mai, emette solo suoni gutturali di tanto in tanto. LDF = 0.
Fantastico!
Mangio un panino di merda.
Siga.
Rientro a lavoro.
Altre cose produttive.
Pausa caffè.
Siga.
Cose produttive.
Chiacchiere inutili con il vicino.
Finito.
Esco.
Siga.
Pezzo a piedi.
Metro.
Treno.
Al ritorno mi siedo su un vagone a caso, in modo da non rischiare di beccare gente che conosco. La mattina, nel pieno delle energie – si fa per dire – riesco a sopportare qualche minuto di conversazione. Anzi, nel caso di Cuffie-Blu è quasi propedeutico alla giornata.
Mi sveglia.
Mi fa entrare nel mood “ombre e spettri”.
Ma ora, dopo un’intera giornata di questo, ho solo bisogno di solitudine.
E di Evgenij Zamjatin.
“SIAMO IN ARRIVO A… STAZIONE NORD” annuncia tutto d’un tratto una voce meccanica.
Prendo la borsa.
È arrivata a pesare 440 kg.
Come fa?
Ingurgita le mie speranze?
Scendo.
Metro.
Pezzo a piedi.
Siga.
Passo davanti al Chioschetto.
Di solito mi fermo a bere qualcosa, ma oggi devo fare la spesa per la settimana.
Saluto da lontano con la mano.
Arrivo al Carrefour Express.
È il più caro punto vendita della più cara catena di supermercati del mondo.
Ma è l’unico aperto a quest’ora vicino a casa.
E poi ha i taralli buoni.
Detesto i supermercati.
Gente che si muove lenta, barcollante, pallida sotto la luce dei neon.
Zombi.
Trascina in giro carrelli. Più spesso viceversa.
Carrelli giganteschi, enormi, spadroneggiano tra le corsie, terrorizzando i bambini.
E me.
Alcuni vuoti. Altri ricolmi.
Cercano qualcuno o qualcosa.
Forse solo redenzione.
Scaffali si inerpicano beffardi sino al cielo.
Vecchi si inerpicano gagliardi sugli scaffali che si inerpicano beffardi sino al cielo.
Devono raggiungere la salsa di pomodoro.
Addio.
Mi muovo lesto. Sono un ninja.
Schivo carrelli.
Schivo Zombi assetati del mio sangue.
Schivo vecchi.
Piovono vecchi dal cielo.
Arraffo veloce i prodotti dagli scaffali.
Devo uscire da qui!!!
Prendo le prime cose che mi capitano sottomano.
E i taralli.
Curioso che tra mille prodotti non si trovino sorrisi.
O serenità in tubetti.
Giungo stremato alla cassa.
Da ninja ad acrobata.
Ho in mano non meno di 200 articoli, posti in equilibrio precario l’uno sull’altro.
Il mento funge da terza estremità prensile.
Temo troppo i carrelli.
Anche i carrellini, loro figli.
Mi è impossibile farne uso, né farmi usare da loro.
La borsa arriva a pesare 1000 kg.
Ha esaurito le mie speranze, ed ora riposa sazia.
Devo fare veloce, non so quanto posso resistere!
E poi succede.
Sono fottuto!
Una fila sterminata, forse perenne.
Si estende dal Manzanarre al Reno.
Mi viene da piangere.
Attendo.
Resisto.
Ho troppa voglia di quei dannati taralli.
Il clima muta.
Parto da una zona temperata, ma mi trovo presto ad affrontare caldi deserti, intricate giungle e ghiacciai. Incontro tigri, elefanti, cammelli e pinguini. Vedo l’aurora boreale e la grande muraglia cinese.
Infine, dopo aver compiuto l’intero giro del creato, tocca a me.
Ho le lacrime agli occhi e la voce spezzata dalla commozione.
Pongo gli oggetti sul rullo.
Mi accorgo solo ora di non aver preso la pasta.
E i broccoli.
E il gorgonzola.
E la pancetta.
E l’orata.
E le cosciotte di pollo.
E il tonno.
E i biscotti.
Niente.
Non ho preso niente.
Solo taralli e vino.
Andranno bene per questa settimana. Non tornerò in quell’inferno.
– Vuoi dei sacchetti? – mi chiede il commesso.
– Tre, grazie.
Lo vedo tutte le settimane, in cassa, per meno di un minuto.
LDF = 1.
Qualche breve battuta sui clienti del cazzo e sul fatto che tra poco si chiude.
Non ci spingiamo oltre.
Pago una follia, saluto ed esco.
Siga.
Pezzo a piedi.
Rientro a casa.
Sono le 21:00. Ero uscito alle 6:00.
Mi viene prosciugata l’esistenza.
E non da alcool e droghe.
Purtroppo.
Mi viene prosciugato il tempo. Le energie.
Me.
Certe sere, la maggior parte in effetti, non ho la forza nemmeno per parlare, per pensare, per fare l’amore.
Per vivere.
Mi verso del vino.
Prendo un tarallo.
Accendo una canna.
Ordino una pizza. Non ho niente da mangiare a casa.
Dovrei fare la spesa.
Dopo poco arriva.
Salsiccia e gorgo, come sempre.
Saluto il tipo di Glovo, pago, due battute inutili con un LDF = 1, e finalmente posso mangiare.
Finisco.
Lavo i piatti.
Vino.
Canna.
Sono le 22:30. Sveglia alle 5:00.
Fanculo!
Leggo un po’, fino a che mi viene sonno.
Mi alzo.
Vino.
Canna.
Denti, pigiama.
Sveglia? No, ho messo in automatico tutti i giorni alle 5:00.
Letto.
Chiudo gli occhi.
BIP BIP
Apro gli occhi.
Dove sono?
Chi sono?
Che succede?
BIP BIP
Sono nel letto.
Sono Andrea.
Devo andare a lavoro.
BIP BIP
Allungo una mano e pospongo la sveglia di dieci minuti.
BIP BIP
Spengo la sveglia.
È martedì.
Coraggio.
Ce la puoi fare.
Alzati.
Routine mattutina.
Esco.
Siga?
Avevo detto che avrei smesso.
Non oggi.
Nessuno smette in settimana.
Smetterò sabato.
Metro.
Treno.
Cuffie-Blu.
Soliti discorsi.
“Noi”.
Scendo.
Metro.
Siga.
Lavoro.
Sono in ritardo.
Colpa del treno. Il mio compito è prenderlo in orario. Il suo portarmi in orario. Se non lo fa, la responsabilità non è certo mia, ma delle ferrovie italiane.
Tuttavia, il mio capo non la pensa così.
È più facile prendersela con me che con Trenitalia.
Sbraita, sbuffa, grida.
Non capisco cosa dice.
Tento di rimanere attento, nonostante i suoi Buffi-Baffetti siano una distrazione martellante.
Ma non capisco.
Brusii fragorosi, ridondanti, che non riesco a tradurre in un codice a me comprensibile.
Dice qualcosa riguardo al lavorare di più e meglio.
Che non sono lì in vacanza.
Che rubo lo stipendio.
Che dovrei essere grato per quel lavoro.
Che fuori c’è gente che fa la fila per avere il mio posto.
Che con la scusa del treno spesso arrivo in ritardo.
Che sono l’unico che non fa straordinari.
Mi scuso.
Mi scuso di stare fuori casa solo 15 ore al giorno.
È inaccettabile.
Punterò ad arrivare almeno a 20.
Mi scuso di non fare mai straordinari.
Lavorerò ancora più sodo, in modo da portare le 20 ore al giorno di cui sopra, almeno a 22.
Mi scuso di aver rubato lo stipendio.
1200 euro al mese è effettivamente un compenso fin troppo generoso per avere in cambio solamente la totalità del mio tempo e delle mie energie.
Mi organizzerò per donare all’azienda anche 10 litri di sangue al mese.
Il mio primogenito.
La mia anima.
E chiederò che mi venga dimezzato lo stipendio: siete pazzi a dare così tanto chiedendo così poco in cambio!
Mi scuso per il ritardo.
La prossima volta avrò cura di dirottare il treno, in modo da riuscire a saltare le fermate ed arrivare in tempo. Se delle persone dovessero essere travolte poco importa: è un piccolo prezzo da pagare per far sì che riesca a timbrare in orario.
Lo ringrazio per aver scelto me tra orde di laureati che prendono quotidianamente d’assalto la sede dell’azienda per avere un lavoro.
So che per tenerli a bada ha dovuto scavare un fossato con i coccodrilli, assumere diecimila cavalieri, e chiedere ad un potente mago di fare un incantesimo di protezione.
Non potrò mai sdebitarmi abbastanza.
Questa sera, intorno al fuoco, tra canti narranti di eroiche gesta, sacrificherò in suo onore una vergine.
Anzi. Due.
Ma che dico.
Tre!
Non badiamo a spese!
Non badiamo a vergini!
– Mi stai ascoltando Erre??? – chiede incazzato Buffi-Baffetti.
Ops, mi ero distratto.
La mia mente vagava tra scuse e ringraziamenti sinceri quanto improbabili.
– Certo. Scusi, non capiterà più – mento io, senza sapere che cosa non dovrebbe capitare più.
Qualunque cosa sia, comunque, è probabile che ricapiterà domani.
Io rimango io.
Il treno rimane il treno.
L’azienda rimane l’azienda.
Tu rimani uno stronzo.
Gli addendi sono gli stessi, coglione.
Bubbi-Baffetti. LDF = 1.
Per fortuna.
Vado al pc.
Quattro chiacchiere con il collega a fianco.
Cose produttive.
Pausa.
Cose produttive.
Fine.
Siga prima, durante e dopo.
Metro.
Treno.
Chioschetto.
Il Chioschetto non è un chioschetto.
È un’oasi idilliaca di pace, in cui tristi pellegrini erranti trovano conforto per pochi spicci. Inebrianti pozioni magiche vengono vendute a basso prezzo per alleviare i tormenti, per ridestare gli animi. Muse e musi ridonano serenità a spiriti inquieti con il candore dei propri consigli di vita. Succulenti banchetti ristorano noi pavidi anti-supermercato.
Il Chioschetto è rimasto l’unica terra libera.
L’unica terra in cui mi sento libero.
Saluto l’oste e i commensali.
Da queste parti sono di casa.
Vino.
Tagliere.
Chiacchiero con Oste-Affabile. LDF = 5.
Tale livello permette di parlare della propria vita privata entrando maggiormente nello specifico. Ma non di emozioni o pensieri, se non assai superficialmente.
Per sbloccare il “pacchetto emozioni-pensieri” serve un LDF almeno di 7.
Per quanto Oste-Affabile mi abbia donato conforto durante intere nottate, anche nella sua personale dimora, non siamo mai arrivati a quel grado di familiarità.
Da lucidi.
Altro vino.
Panino.
Chiacchiero con alcuni habitué dell’oasi di libertà, che conosco un po’. LDF = 3.
Cocktail.
Canna.
L’alcool e l’erba mi rendono più incline alla chiacchiera ed alle confidenze, donando un auspicato +2 al normale LDF.
Quindi Oste-Affabile LDF = 7, Habitué = 5. Non male.
Inizio a parlare dei miei problemi.
Mi sento un criceto in una ruota.
Mi sento soffocare.
Sono in un loop perenne da cui non riesco ad uscire.
Ha senso tutto ciò?
Ormai mi trascino apatico per la maggior parte del tempo.
Le poche emozioni che provo sono di sconforto, angoscia e paura.
Le sensazioni e i pensieri sono confusi, arrabattati, condizionati dallo stato alterato in cui mi trovo. Ma escono copiosi, come se non aspettassero altro che esplodere all’esterno della mia coscienza.
Della mia incoscienza.
Altro cocktail. Altra canna.
Dai compagni d’avventura arrivano parole di conforto.
Abbracci.
Condivisioni importanti di vita.
È il primo momento autentico dopo due giorni artefatti, illusori ed ingannevoli.
L’alcool e l’erba sono fondamentali per la mia esistenza.
C’è chi li usa per estraniarsi dalla realtà.
Io per riuscire a farne parte.
Oste-Affabile offre un paio di giri d’amaro.
Inizio ad essere ubriaco.
Saluto tutti e torno a casa.
È mezzanotte.
Denti, pigiama, letto.
Chiudo gli occhi.
BIP BIP
Apro gli occhi.
Dove sono?
Chi sono?
Che succede?
Ho mal di testa. Sarà per quello che ho bevuto ieri.
BIP BIP
Sono nel letto.
Sono Andrea.
Devo andare a lavoro.
BIP BIP
Allungo una mano e pospongo la sveglia di dieci minuti.
BIP BIP
Spengo la sveglia.
È mercoledì.
Coraggio.
Ce la puoi fare.
Alzati.
Routine mattutina.
Esco.
Routine del viaggio.
Discorsi inutili con Cuffie-Blu.
Ha un bel sorriso.
Routine del viaggio.
Lavoro.
Arrivo in ritardo per colpa del treno.
Ovvio.
Questa volta non vengo cazziato. Buffi-Baffetti avrà altri cazzi oggi.
Meno male: con questo mal di testa post-sbronza non riuscirei a reggere.
Routine lavorativa.
Routine viaggio.
Cena da mamma.
Mi pesa andare a trovarla.
Organizziamo una cena al mese, sempre a casa sua.
Non ci sentiamo mai per telefono.
Quando mi manda dei messaggi la ignoro.
Non è colpa sua.
È una gran donna, una splendida madre e un fantastico essere umano.
Un tempo, quando ero bambino, aveva un ruolo centrale nella mia esistenza. Direi LDF = 9.
Poi divenni adolescente.
Aumentarono le contestazioni e gli screzi, e di conseguenza i segreti.
Inizialmente furono segreti su cosa facevo.
Poi divennero su cosa provavo.
Su cosa pensavo.
Infine, su come vivevo.
Ben presto il suo LDF calò drasticamente.
Oggi sono per lei un perfetto sconosciuto.
Sa che lavoro faccio e dove abito.
Null’altro.
Non ha mai visto la mia casa, anche se ci vivo da vent’anni.
Non sa se sono fidanzato.
Non conosce i miei amici.
Non sa cosa faccio nel tempo libero.
Non conosce le mie emozioni né i miei pensieri.
LDF = 2.
Meno di Cuffie-Blu, che pure non ha idea di chi sia Andrea.
Lei tenta di farmi domande.
Vorrebbe mantenere una connessione tra noi.
Ma è troppo tardi.
Quel tempo non esiste più, se non nei nostri ricordi, e in qualche vecchia foto appesa in giro per la casa.
Soffro nel constatare quanto ciò la faccia soffrire.
Questo è il motivo per cui mi pesa vederla.
Quando arrivo è già tutto pronto.
È un’ottima cuoca, quindi mangio di gusto.
Parliamo del più e del meno.
Schivo le sue domande, dispensando banalità e monosillabi.
Mi racconta del suo lavoro.
Degli amici No-Tav che frequenta.
Del tipo.
Lei parla molto.
Forse per compensare la mia assenza di comunicazione.
Mi dice che è preoccupata del fatto che non mi vede mai bere acqua.
Già, non ci avevo fatto caso. La rassicuro.
Mi verso del vino.
Finiamo velocemente cena.
Ci sediamo sul divano.
Le racconto del libro che ho finito di leggere oggi in treno, “Noi”. Pare interessarla.
Sono le 22:00.
Sono arrivato da due ore e già sono esausto.
Mi manca il respiro.
Devo andare.
Le dico che sono stanco e vado a casa.
Mi saluta dispiaciuta.
Esco e mi incammino verso il Chioschetto.
Mi sento una merda.
Fa male.
Bevo l’infinito al Chioschetto e torno a casa marcio per l’1.
Canna.
Denti, pigiama, letto.
Chiudo gli occhi.
BIP BIP
Apro gli occhi.
Dove sono?
Chi sono?
Che succede?
Ho mal di testa. Anche oggi.
BIP BIP
Sono nel letto.
Sono Andrea.
Devo andare a lavoro.
BIP BIP
Allungo una mano e pospongo la sveglia di dieci minuti.
BIP BIP
Spengo la sveglia.
È mercoledì.
No.
Forse giovedì.
Boh, non so.
Che cambia?
Coraggio.
Ce la puoi fare.
Alzati.
Routine mattutina.
Esco.
Routine del viaggio.
Cuffie-Blu ha anche gli occhi blu.
Inizio a leggere “Sull’amore”, di Bukowski.
Routine fino a lavoro.
Routine del lavoro.
Routine del viaggio.
Chioschetto veloce. Bevo un vinello.
Becco Gocce-di-Salvezza alle 21 in un pub sotto casa sua.
Gocce-di-Salvezza è un amico.
L’unico con un LDF = 9.
L’unico ostacolo, nel bene o nel male, tra me e la follia.
Conosce tanto di me.
Non tutto.
Ma tanto.
Conosce la mia vita.
Conosce le mie angosce. Le mie paure. Le mie gioie.
Conosce i miei pensieri.
Ordiniamo del vino e una pizza.
Parliamo dei miei problemi di loop eterno.
Gocce-di-Salvezza è riflessivo, introspettivo, ma allo stesso tempo pragmatico.
Mi fa bene all’anima.
Di solito.
Canna.
Cocktail.
Dice che è preoccupato.
Che sono sempre stato un casino con la testa, ma che ultimamente sto degenerando.
Lo rassicuro.
Non gli basta.
È l’unico intorno a me che si è accorto che sono davvero in difficoltà.
Sto affogando.
Nell’esistenzialismo e nell’alcool.
Spero di riuscire ad indossare il travestimento da amico-in-ripresa e convincerlo che sia tutto sotto controllo. Per la prima volta, con lui, sento la necessità di nascondere il mio pensiero più profondo, le mie emozioni più intime.
Non voglio che sappia.
Cosa?
Non lo so nemmeno io.
Ma lui potrebbe scoprirlo prima di me. Non voglio.
Ho paura.
Cocktail.
Mi offre il suo sostegno, la sua comprensione, i suoi consigli, la sua presenza.
Gli voglio bene.
Canna.
Cocktail.
Saluti.
Chioschetto veloce.
Casa. Sono le 2.
Denti, pigiama, letto.
Chiudo gli occhi.
BIP BIP
Apro gli occhi.
Dove sono?
Chi sono?
Che succede?
Ho mal di testa. Anche oggi. Cazzo!
BIP BIP
Sono nel letto.
Sono Andrea.
Devo andare a lavoro.
BIP BIP
Allungo una mano e pospongo la sveglia di dieci minuti.
BIP BIP
Spengo la sveglia.
È venerdì.
Credo.
Coraggio.
Ce la puoi fare.
Alzati.
Routine mattutina.
Esco.
Routine del viaggio.
Cuffie-Blu il venerdì non c’è perché è in smart-working.
Mi sorprendo a dispiacermi.
Curioso.
Routine del lavoro.
Routine del viaggio.
Mi chiama Gocce-di-Salvezza.
Cena da lui e poi usciamo con gente.
Ok.
Chioschetto veloce.
Vinello.
Casa di Gocce-di-Salvezza.
Canna.
Vino.
Prepara una carbonara.
Prova ad indagare su come sto.
Quando si accorge che non mi va di parlarne, cambia argomento.
Fa bene? Fa male?
Difficile dirlo.
Fa quello che può.
È sempre stato un buon amico.
Gliene sono grato.
Mi racconta di una ragazza che gli piace. Forse si è innamorato.
La conosco.
Ci sta.
Sono contento per lui.
È tanto che non trovo interessante una persona.
Mi manca.
Forse Cuffie-Blu.
Mangiamo.
Vino.
Ci raggiungono alcune amiche.
Mi trovo bene con loro.
LDF = 7. Fatti più specifici. Emozioni e pensieri più che accennati.
Prepariamo del Gin Tonic da mettere in alcune borracce, per non dover pagare prezzi stratosferici nei locali marci in cui solitamente andiamo.
Gin Tonic.
Canna.
Verso mezzanotte partiamo per un Locale-Marcio.
Siamo già brilli.
Arriviamo.
Ovviamente c’è una Tekno.
Ovviamente con la K.
Stiamo per un po’ nel giardinetto esterno, bevendo Gin Tonic e fumando un paio di canne.
Inizio a non starci troppo dentro.
Lo stato alterato mi riporta alla realtà.
Mi confido con Amica-1.
Ho paura.
Non so ancora di cosa.
Ma ho paura.
Mi abbraccia.
Mi sussurra dolci parole di conforto.
Ci raccontiamo alcune cose private.
L’alcool e l’erba hanno di nuovo fatto il miracolo: LDF +2, quindi = 9.
Sto meglio.
Entriamo e balliamo.
Intorno a noi, nel buio, qualche decina di persone si muove in modo sincopato, seguendo il ritmo della musica.
Qualcuno ha gli occhiali da sole.
Qualcuno è a torso nudo.
I fari di luci fosforescenti illuminano le magliette, soprattutto quelle bianche.
E i denti.
E i muri.
Le persone sono connesse da un’energia invisibile. Diventano un unico individuo, seppur composto da plurime, differenti individualità.
Solo qui mi sento davvero a mio agio.
Bevo del Gin Tonic.
Accendo una canna.
Vado sotto la cassa, per rintronarmi con la musica nelle orecchie.
Ho bisogno di sentirmi nel mondo.
Devo sentirlo!
Guardo il Dj che fa cose.
Ogni tanto qualcuno urla, seguendo i bassi.
Sono io.
Dopo poco Gocce-di-Salvezza segue le mie grida, a cui si aggiungono presto quelle dell’intero locale.
Luci rosse e verdi, blu e gialle colpiscono la folla estatica, che urla e balla.
Mi volto a guardare lo spettacolo.
Della gente, non del Dj.
Finalmente un frammento di vita in questo vuoto chiamato esistenza.
Mi ero dimenticato come mi facesse sentire.
Chiudo gli occhi.
Forse non sono ancora perso.
Mi sento abbracciare da dietro.
È Amica-1.
Mi dice che il Gin Tonic che avevamo portato è finito, e se l’accompagno a prendere altro da bere.
Andiamo a prendere un Coca e Jack.
Ci spostiamo nel giardinetto esterno.
Canna.
Parliamo molto.
C’è una bella intesa tra noi.
Ci baciamo.
La guardo negli occhi.
Sorride.
Ci baciamo.
Finiamo di bere e di fumare.
Ci baciamo e torniamo a ballare.
Dentro il locale è tutto uguale a prima.
Ma dentro di me le cose sono cambiate.
Il Feng Shui della mia anima è andato a puttane.
Torno in uno stato di frustrazione e sconforto.
Inizio a mal sopportare la musica. Le luci. Le persone.
Quell’energia che poco fa si sprigionava, connettendo i funamboli della notte, mi pare ora assente.
Non riesco a respirare. Mi gira la testa.
Devo andarmene!
Sono nel panico.
Mi giro ed esco, senza dire nulla. Per fortuna in mezzo alla folla nessuno mi ha visto.
Non avrei voglia di dover spiegare, giustificare, salutare.
Voglio solo andarmene.
Raggiungo un parchetto lì vicino.
Mi siedo su una panchina.
Canna.
Che cazzo è successo?
Era arrivata troppo vicino.
Mi avrebbe smascherato.
O io avrei cambiato idea.
Su cosa?
Ancora non lo so, ma intendo scoprirlo.
Ho bisogno di scoprirlo!
Raggiungo la macchina.
Sono marcio.
Faccio fatica ad andare dritto.
Guido pianissimo per non fare cazzate.
Parcheggio di fronte al Chioschetto.
Chiedo sbiascicando un cocktail.
Oste-Affabile mi parla ma non lo sto ad ascoltare.
Cioè.
Lo sto ad ascoltare, ma non lo comprendo.
Dall’espressione pare che sia preoccupato, e che con amorevole tatto mi stia consigliando di andare a casa senza prendere nulla.
Forse è una buona idea.
Vado a casa barcollando.
Tolgo la sveglia, che altrimenti partirebbe in automatico.
Mi butto sul letto vestito e collasso.
Apro gli occhi.
Dove sono?
Chi sono?
Che succede?
Ho mal di testa. Una costante.
Sono nel letto.
Sono Andrea.
Cazzo!
Non ho sentito la sveglia!!!
Che ore sono, devo andare a lavoro!
Ah no, è sabato.
Sospiro di sollievo.
Accendo il cellulare per vedere l’ora.
Sono le 14:00.
Molte chiamate perse.
Da Gocce-di-Salvezza e da Amica-1.
E qualche messaggio che chiedeva se stessi bene e dove fossi finito.
Per fortuna niente di grave: i miei amici mi conoscono.
Non sono nuovo a queste cose.
A volte ho bisogno di scappare.
Da luoghi. Da persone.
Da me.
Nessuno se la prenderà.
Dovrei essere contento che qualcuno mi vuole bene e si preoccupa della mia incolumità.
Eppure, provo una sensazione di fastidio.
Mi alzo.
Denti.
Pranzo.
Vino.
Canna.
Mi metto nel letto a riflettere. Devo capire cosa non voglio scoprire.
Inizio a scrivere.
Scrivere mi ha sempre aiutato ad esplorare la mente. La stronza tenta in tutti i modi di nascondere e celare i pensieri più dolorosi.
Finisco di scrivere.
Rileggo.
Vino.
Canna.
Mi vesto.
Scendo, più apatico del solito.
Raggiungo il ferramenta sotto casa.
Entro?
Attimi di attesa di fronte alla porta.
No.
Torno a casa.
Vino.
Canna.
Letto.
Piango.
Mi addormento.
Mi sveglia la suoneria del cellulare.
È Gocce-di-Salvezza.
Chiede come sto.
Lo rassicuro.
Chiede se vado a cena da lui.
Non ho voglia di uscire.
Ma forse è quello che mi serve.
Gli dico ok.
Lo saluto.
Noto un paio di messaggi di Amica-1 che mi propone di andare a bere qualcosa dopo cena.
Non le rispondo.
Scusa.
Mi alzo.
Mi sento rincoglionito.
Mi fa sempre questo effetto dormire il pomeriggio.
Non bevo e non fumo. Non ce la faccio.
Esco e vado da Gocce-di-Salvezza.
Arrivo.
Vino.
Canna.
Abbozzo qualche scusa sulla mia fuga di ieri sera: mi ero chiuso e volevo andare a casa.
Finge che sia tutto ok.
Era capitato un sacco di altre volte, ma ultimamente è preoccupato.
Lo sento. Lo sente.
Mi chiede com’è andata con Amica-1. Mi dice che ieri si è un po’ risentita della mia scomparsa.
Gli rispondo che domani le manderò a casa un biglietto di scuse con mille rose rosse, cioccolatini, pupazzetti del cazzo e una proposta di matrimonio.
È una risposta sgarbata e irrispettosa, che non tiene conto delle emozioni altrui.
Non è da me. Mi faccio schifo.
Chi sto diventando?
Scrivo subito ad Amica-1, scusandomi per il mio comportamento.
Dico che questa sera non ci sono, ma che mi farebbe piacere vederla nei prossimi giorni.
Chiudo con un “ci aggiorniamo, ciao”.
Cena.
Vino.
Canna.
Intanto parliamo della ragazza che piace a Gocce-di-Salvezza. Domani vanno al lago insieme.
Io evito di parlare del loop perenne.
Mi manda in crisi.
Raggiungiamo degli amici in un altro Locale-Marcio.
Ovviamente c’è una Tekno.
Ovviamente con la K.
Beviamo. Fumiamo. Balliamo.
Tutto in un’apatia surreale. Senza picchi verso l’alto o il basso.
Riesco a rimanere e a finire la serata.
Torno a casa alle 8.
Denti, pigiama, letto.
Apro gli occhi.
Passo la domenica tra alcool, erba e Bukowski.
Butto giù un po’ di righe.
Mi scrive un’altra amica, Amica-2, per vederci la sera.
Non ho voglia, rimango a casa.
Arriva presto la sera.
Chissà com’è andata la gita al lago di Gocce-di-Salvezza.
Vado a dormire.
BIP BIP
Lunedì.
Routine sveglia.
Routine per uscire.
Siga.
Nessuno smette di lunedì.
Smetterò il prossimo weekend.
Routine viaggio.
Routine lavoro.
Routine viaggio.
Routine Chioschetto.
Gocce-di-Salvezza mi dice che la gita al lago è andata bene.
Ottimo.
Vado a dormire ubriaco.
BIP BIP
Martedì.
Routine sveglia.
Routine per uscire.
Routine viaggio.
Routine lavoro.
Routine viaggio.
Routine Chioschetto.
Amica-1 mi scrive. Chiede se ci vediamo una sera.
Non le rispondo. Lo farò domani.
Vado a dormire ubriaco.
BIP BIP
Mercoledì.
Routine sveglia.
Routine per uscire.
Routine viaggio.
Routine lavoro.
Routine viaggio.
Routine Chioschetto.
Gocce-di-Salvezza mi chiede se ci becchiamo questa sera.
Non ho voglia.
Non gli rispondo. Lo farò domani.
Vado a dormire ubriaco.
BIP BIP
Giovedì.
Routine sveglia.
Routine per uscire.
Routine viaggio.
Routine lavoro.
Routine viaggio.
Routine Chioschetto.
Gocce-di-Salvezza mi chiede se è tutto a posto. Se può venire da me con delle pizze.
Non ho voglia.
Gli rispondo che sto bene ma che non mi va.
Spero non si preoccupi. Mi complicherebbe la vita.
Dice di farmi sentire.
Sempre più sento la necessità di stare solo.
L’apatia ha completamente scalzato l’angoscia e la tristezza dal mio cuore. Ora mi appare delicata, indulgente, amorevole. Finanche auspicabile.
Gliene sono grato.
Vado a dormire ubriaco.
BIP BIP
Venerdì.
Routine sveglia.
Routine per uscire.
Routine viaggio.
Routine lavoro.
Routine viaggio.
Routine Chioschetto.
Non resisto più in questo loop infinito.
Come fanno gli altri a non impazzire?
O forse sono impazziti?
Impazziti ad accettare.
Impazziti a rassegnarsi.
Impazziti a non impazzire.
Gocce-di-Salvezza mi chiama e non rispondo.
Amica-1 mi scrive e non rispondo.
Mi chiudo in casa. Tolgo la sveglia automatica.
Vado a dormire ubriaco.
Apro gli occhi.
È sabato.
Il pensiero di avere due giorni davanti in cui dover fare cose mi distrugge.
Il pensiero di avere due giorni davanti in cui posso fare ciò che voglio, anche niente, mi distrugge.
Il pensiero di avere davanti una vita di loop eterno mi distrugge.
La giornata è iniziata da dieci secondi e già sto piangendo.
Non accendo il cellulare.
Vado in cucina.
Vino.
Canna.
Vino.
Canna.
Scendo.
Vado dal ferramenta sotto casa.
Entro?
Entro!
Compro.
Torno a casa.
Vino.
Canna.
Collasso sul divano.
Mi sveglio non so quando.
Accendo il cellulare.
Solite mille chiamate e messaggi tra Gocce-di-Salvezza, Amica-1, Amica-2, amici vari, chat varie, mamma.
Cazzo!
Per fortuna non ho un padre. Una chat in meno.
Rispondo solo a Gocce-di-Salvezza, per evitare che si preoccupi e venga qui.
Gli scrivo una bugia: che sto bene, e che sono andato in montagna da amici per il weekend.
Spengo di nuovo il cellulare e torno al vino e all’erba.
Collasso.
Apro gli occhi.
Fuori è buio.
Non so che ora sia.
Non voglio accendere il cellulare per controllare. E non ho altri orologi in casa.
Fottuti orologi del cazzo!
Sento la necessità di scrivere.
Che cosa?
Non lo so.
Prendo il taccuino e la penna sul comodino accanto a me. Non devo nemmeno alzarmi dal letto.
E ora?
Mi trovo a fissare il foglio bianco.
Non so cosa voglio scrivere.
Ho paura.
Tutto d’un tratto, la penna inizia a muoversi.
Dapprima incerta e titubante, poi con sempre maggior vigore e naturalezza.
Pare avere libero arbitrio, e la strafottenza di fregarsene di ciò che la mia mente comanda.
Cosa sta scrivendo?
Cosa mi vuole comunicare?
Cosa vuole che io sappia?
I vocaboli si susseguono in un vortice inarrestabile.
Attendo con trepidante impazienza ogni singola lettera, ogni singola parola.
Devo sapere!
Provo a sbirciare.
Si ferma.
Si è accorta della mia attenzione.
Devo mostrarmi disinteressato, così forse continuerà.
Smetto di guardare il foglio.
Riparte.
Provo un senso di disagio.
Divento insofferente. Ansioso. Nervoso.
Inizio a sudare.
Cosa vuoi dirmi???
Cosa vuoi da me???
Maledetta, ho bisogno di vedere cosa stai scrivendo!
Ho ancora io il controllo! Ho ancora io il controllo!!!!
Non riesco più a trattenermi.
Devo guardare quel dannato foglio. Devo capire!
Ma temo che così facendo la penna si fermi.
Ed io non comprenderò mai.
Sto per impazzire! Non ce la faccio più!
Stronza, fammi leggere!!!!!
Si ferma.
Forse ha finito.
Guardo il foglio.
Alcune paginette scritte fitte, con la mia calligrafia.
Mi prende il panico.
Ma devo sapere.
Ma devo sapere?
Ho atteso questo momento per molto tempo.
Ma ora il terrore mi paralizza.
Poso il taccuino e vado in cucina.
Vino.
Canna.
Torno a letto e riprendo il taccuino.
Una spasmodica curiosità mi impedisce di ignorarlo.
Leggo.
…
…
…
Mi sento vuoto.
Un vuoto a rendere.
Minuti di silenzio. E buio.
Piango.
L’ombra della tenda mi osserva, e sogghigna soddisfatta.
Fottiti.
Mi addormento.
Apro gli occhi.
Fuori è giorno.
Stranamente mi sento pieno di energie. Non mi capitava da molto.
Oggi niente vino né erba.
Mi alzo.
Doccia, denti.
Barba.
Pulisco la cucina.
Poi il salotto.
Poi la camera da letto.
Monto una libreria comprata all’Ikea mesi fa.
Monto una sbarra di ferro comprata ieri dal ferramenta. Tipo quella per fare le trazioni.
Butto il vetro.
Ho sempre vetro in casa.
Faccio una pasta.
Lavo i piatti.
Pulisco il bagno.
Mi metto a letto e accendo il portatile. Scopro che sono le 19:00.
Guardo un video di Barbascura.
Poi un noioso tutorial sui nodi.
Poi una battle di freestyle.
Ordino una pizza.
Leggo Bukowski.
Accendo il cellulare.
Molte chiamate perse e messaggi.
Non leggo niente.
Metto la sveglia.
Oggi è stata proprio una bella giornata.
Ho sistemato un po’ di cose che ultimamente avevo trascurato.
Tipo la casa. Tipo me.
Ho fatto bene a non bere e fumare!
Sono settimane che non mi capita di andare a dormire da sobrio.
Mi addormento sorridendo.
BIP BIP
Apro gli occhi.
Dove sono?
Chi sono?
Che succede?
BIP BIP
Sono nel letto.
Sono Andrea.
Devo andare a lavoro.
BIP BIP
Allungo una mano e pospongo la sveglia di dieci minuti.
BIP BIP
Spengo la sveglia.
È lunedì.
Coraggio.
Ce la puoi fare.
Alzati.
Mi alzo stranamente di buonumore.
Doccia.
Colazione.
Denti.
Vestiti.
Borsa.
Esco.
Siga?
No, oggi smetto.
Butto il tabacco nel primo cestino che incontro.
Metro.
Treno.
Mi sento pieno di energie oggi. Come ieri.
Mi siedo accanto a Cuffie-Blu.
Per la prima volta provo il desiderio di essere coccolato dalle sue risate.
Di sguazzare nel blu profondo dei suoi occhi.
Di infilarmi nelle fossette che le spuntano sulle guance quando sorride.
Parlo molto più del solito.
Degli amici, del Chioschetto, della mia passione per la lettura.
Di Me.
Pare apprezzare la mia insolita mancanza di apatia.
La mia fermata arriva troppo presto.
Mi alzo e senza pensare le do un bacio sulla fronte.
Sorride.
Per qualche secondo la realtà svanisce.
I colori, i suoni, gli odori, le persone, gli oggetti, le emozioni, i pensieri.
Tutto evapora, si dissolve.
Esistono solo le sue fossette.
Non le avevo mai notate prima di oggi. Mi danno serenità.
– Ti va se andiamo a berci qualcosa questa sera, finito lavoro? – mi fa.
– Certo.
– Io abito vicino a Stazione Sud, tra Vicolo Corto e Vicolo Stretto, tu?
– Io vicino a Stazione Nord, tra alcolismo e pazzia.
Pare confusa. – Non capisco.
– Già. Nemmeno io.
Fossette. – Certo che sei proprio un tipo strano.
– Grazie – mi viene da rispondere, senza sapere se si tratti di un complimento.
– Facciamo questa sera alle 21:00 al Chioschetto, così me lo fai conoscere? – propone lei.
– Bella.
Corro giù dal treno che sta ripartendo.
Oggi sono proprio preso bene.
Anche il brulicare delle persone intorno a me non mi infastidisce.
Arrivo a lavoro in ritardo. Sempre per colpa del treno.
Buffi-Baffetti mi convoca.
Inizia la solita strigliata.
Mentre mi parla guardo fuori dalla finestra.
Il sole filtra tra le foglie svolazzanti degli alberi, creando sul prato davanti dei curiosi giochi di ombre cinesi. Non mi ero mai accorto di quanto potesse risultare affascinante.
Sorrido al pensiero.
– MI STAI ASCOLTANDO ERRE? TI INTERESSA QUELLO CHE DICO???
Buffi-Baffetti alza d’un tratto la voce, interrompendo il mio dolce fantasticare.
– Effettivamente no. Addio.
Mi volto ed esco dall’ufficio.
Continuo a camminare tranquillo, serafico, lungo i corridoi, sin fuori dall’edificio.
Vado a fare colazione seduto nel dehors di un bel bar. Spremuta e brioches senza lattosio.
Torno a piedi in stazione, godendomi la passeggiata tra le vie trafficate.
Oggi non temo nulla.
Chiedo l’ora ad un passante. È presto.
Prendo il treno per rientrare.
Nel viaggio di ritorno non penso a niente.
Leggo.
Mi sento davvero bene oggi, cazzo!
Arrivo prima di pranzo.
Passo davanti al Chioschetto e saluto Oste-Affabile con la mano.
Non mi fermo.
Anche oggi niente vino o erba.
Vado a fare la spesa.
Niente mi turba.
Né i carrelli, né gli zombi sotto la luce al neon, né i vecchietti che piovono dal cielo.
Nemmeno la coda alla cassa mi spaventa.
Mentre aspetto il mio turno scrivo a Gocce-di-Salvezza.
Gli dico che stasera becco una ragazza che forse mi piace, e gli chiedo se ci possiamo vedere domani così gli racconto.
È felice. Mi dice che va bene.
Scrivo a mia madre.
La invito a cena mercoledì.
Da me.
Pago.
Esco.
Torno a casa.
Mi preparo un bel pranzetto.
Mangio.
Denti.
Mi svacco sul divano a leggere un po’.
Finisco “Sull’amore”. Bello.
Mi fermo un attimo a riflettere.
Sono felice.
Finalmente ho una via di fuga.
Guardo la sbarra da trazioni che ho montato ieri.
Prendo una sedia e la posiziono sotto.
Non ci arrivo da terra. È troppo in alto.
Vado a prendere la corda che avevo comprato dal ferramenta.
La fisso con cura alla sbarra.
Metto il cappio intorno al collo.
Penso alla lettera di addio che la penna ieri ha scritto.
È in bella vista sul tavolo in cucina.
La troveranno.
Sorrido.
Do un calcio alla sedia.
Mentre il corpo si contorce provo sollievo, pace.
Finalmente libero!
Finalmente s
…
…
…
…
…
…
…
…
BIP BIP
BIP BIP
BIP BIP
BIP BIP
BIP BIP
BIP BIP
BIP BIP
BIP BIP
BIP BIP
BIP BIP
BIP BIP
BIP BIP